VULTURE INDUSTRIES
The dystopia journals
Dovessi definire i Vulture Industries con due band esistenti nel panorama musicale direi che sono il figlio illegittimo di Borknagar e Arcturus.
La band è proveniente dalla Norvegia ed annovera tra le sue fila alcuni nomi di artisti Norreni, già conosciuti in ambito di metal estremo quali Eivin Huse (qui in vesti di chitarrista e membro dei Sulphur), Øyvind Madsen (anche lui alle chitarre e membro di Sulphur, Deathcon, Black hole generator e membro live degli Enslaved per le tastiere) e Bjornar Nielsen (che qui è in veste di programming e voce ).
A livello tecnico abbiamo di fronte un album di qualità alta, assolutamente impeccabile per le registrazioni e i mixaggi e una cura quasi maniacale per ciò che riguarda gli arrangiamenti; se non fosse un album di alcuni anni fa (riproposto l’anno scorso in versione vinilica) lo proporrei tra i migliori dieci album dell’anno. Per dare una coordinata musicale aggiuntiva, si potrebbe dire che questo “The Dystopia Journals” potrebbe essere pari ad un “La Masquerade Infernale vol 2”. Stessa malia e stesso feeling mi pervade mentre continuo l’ascolto.
Assolutamente spettacolari, non riesco a definirli in modo differente, i Vulture Industries sono capaci di creare un’atmosfera e un mood assolutamente inusuale da diversi anni a questa parte, rendendolo praticamente unico. Riescono, a mio avviso, a portare l’ascoltatore in un tempo passato ed in luoghi inesplorati della mente già dalla copertina. Si può vedere una persona che sta strangolando se stessa attorniato da voluttuose tende di velluto rosso che ricorda molto le allucinazioni di Twin Peacks (per chi non conoscesse fu un serial tv di David Lynch che ruotava attorno alla morte di Laura Palmer per mano di… Non ve lo dico, cercatelo). Il leitmotiv che aleggia in queste nove canzoni, è un viaggio oscuro e intrigante allo stesso tempo, viaggio quasi introspettivo; sembra che il gruppo voglia cerare con dei refrain di melodia, una linea di congiunzione tra la prima e l’ultima canzone, passando per tutte le altre, per creare quasi un concept album. Se dovessi cercare delle canzoni che più di altre spiccano dal platter direi: “Pills of conformity” per la dimostrazione tangibile delle capacità della band, “Blood don’t flow streamlined” che è forse la più evocativa e definitiva di tutto l’album, “To sever the hand of corruption” e “Soulcage” per la carica oscura che si portano appresso entrambe le canzoni.
Da notare che ad esclusione di Soulcage che è di circa tre minuti e mezzo di lunghezza, le altre canzoni si attestano attorno ai 5 minuti medi, ma la cosa non risulta ne scontata ripetitività di alcuni riff o noioso ridondante utilizzo di banalità. Questo avviene grazie ad oltre il classico ensemble di chitarre, basso, batteria e voce accostati ai synth, che permettono di aumentare e di “orchestrare” le canzoni presenti nel cd. Cosa che non risulta ne pesante ne stucchevole, ripeto, i passaggi orchestrali aumentano il patos dell’esecuzione intera e sottolinea magistralmente l’uso della voce in tutte le sfaccettature.
ASSOLUTAMENTE CONSIGLIATO, se non l’avete preso nel 2007 potete ancora recuperarne copia, affrettatevi, album consigliatissimo.
VOTO: 90/100
PUBBLICAZIONE RECENSIONE: 7/10/11
GENERE: industrial metal/avantgarde
SITO WEB: www.vulture-industries.net/index.htm
RECENSORE: Alessandro Schümperlin
The dystopia journals
Dovessi definire i Vulture Industries con due band esistenti nel panorama musicale direi che sono il figlio illegittimo di Borknagar e Arcturus.
La band è proveniente dalla Norvegia ed annovera tra le sue fila alcuni nomi di artisti Norreni, già conosciuti in ambito di metal estremo quali Eivin Huse (qui in vesti di chitarrista e membro dei Sulphur), Øyvind Madsen (anche lui alle chitarre e membro di Sulphur, Deathcon, Black hole generator e membro live degli Enslaved per le tastiere) e Bjornar Nielsen (che qui è in veste di programming e voce ).
A livello tecnico abbiamo di fronte un album di qualità alta, assolutamente impeccabile per le registrazioni e i mixaggi e una cura quasi maniacale per ciò che riguarda gli arrangiamenti; se non fosse un album di alcuni anni fa (riproposto l’anno scorso in versione vinilica) lo proporrei tra i migliori dieci album dell’anno. Per dare una coordinata musicale aggiuntiva, si potrebbe dire che questo “The Dystopia Journals” potrebbe essere pari ad un “La Masquerade Infernale vol 2”. Stessa malia e stesso feeling mi pervade mentre continuo l’ascolto.
Assolutamente spettacolari, non riesco a definirli in modo differente, i Vulture Industries sono capaci di creare un’atmosfera e un mood assolutamente inusuale da diversi anni a questa parte, rendendolo praticamente unico. Riescono, a mio avviso, a portare l’ascoltatore in un tempo passato ed in luoghi inesplorati della mente già dalla copertina. Si può vedere una persona che sta strangolando se stessa attorniato da voluttuose tende di velluto rosso che ricorda molto le allucinazioni di Twin Peacks (per chi non conoscesse fu un serial tv di David Lynch che ruotava attorno alla morte di Laura Palmer per mano di… Non ve lo dico, cercatelo). Il leitmotiv che aleggia in queste nove canzoni, è un viaggio oscuro e intrigante allo stesso tempo, viaggio quasi introspettivo; sembra che il gruppo voglia cerare con dei refrain di melodia, una linea di congiunzione tra la prima e l’ultima canzone, passando per tutte le altre, per creare quasi un concept album. Se dovessi cercare delle canzoni che più di altre spiccano dal platter direi: “Pills of conformity” per la dimostrazione tangibile delle capacità della band, “Blood don’t flow streamlined” che è forse la più evocativa e definitiva di tutto l’album, “To sever the hand of corruption” e “Soulcage” per la carica oscura che si portano appresso entrambe le canzoni.
Da notare che ad esclusione di Soulcage che è di circa tre minuti e mezzo di lunghezza, le altre canzoni si attestano attorno ai 5 minuti medi, ma la cosa non risulta ne scontata ripetitività di alcuni riff o noioso ridondante utilizzo di banalità. Questo avviene grazie ad oltre il classico ensemble di chitarre, basso, batteria e voce accostati ai synth, che permettono di aumentare e di “orchestrare” le canzoni presenti nel cd. Cosa che non risulta ne pesante ne stucchevole, ripeto, i passaggi orchestrali aumentano il patos dell’esecuzione intera e sottolinea magistralmente l’uso della voce in tutte le sfaccettature.
ASSOLUTAMENTE CONSIGLIATO, se non l’avete preso nel 2007 potete ancora recuperarne copia, affrettatevi, album consigliatissimo.
VOTO: 90/100
PUBBLICAZIONE RECENSIONE: 7/10/11
GENERE: industrial metal/avantgarde
SITO WEB: www.vulture-industries.net/index.htm
RECENSORE: Alessandro Schümperlin
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